Ciao Wilmo!

29 luglio 2019

«Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»

Friedrich Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi, Milano 1977

Nuovi vocaboli. O ritorno degli stessi in veste nuova

24 febbraio 2019

Edvard Munch, The girls on the bridge, 1901

ETERNO RITORNO DELLO STESSO
1.
La vita può diventare una bella vacanza, ma soltanto se si sa da dove si arriva, chi siamo, dove andiamo. Ciò che ignoravamo, ma ora tutto è avvenuto. C’ un giro completo di cultura che l’esprime: è la Via filosofica che va da Socrate ai nostri giorni. È l’Eterno ritorno dello stesso.
2.
Il circolo della filosofia, che è iniziato nella Grecia antica venticinque secoli fa e finisce in questi nostri giorni, è l’ultimo aspetto dell’Eterno ritorno dello stesso.
3.
Conosco la via dell’Eterno ritorno dello stesso. È la filosofia. Chi la percorre fino in fondo si ritrova all’inizio. Da Parmenide a Parmenide è la via e l’ha iniziata Socrate (vedi Dalla sapienza alla sapienza seguendo la via filosofica).
4.
L’uso del sapere a vantaggio dell’uomo, iniziato da Platone, ci ha portati a conoscere tutta la via dell’Eterno ritorno dello stesso, che qui è segnalata e illuminata per chi vuole seguirla e ritornare.

PONTE SULL’ABISSO
1.
Uno degli aspetti dell’Abisso è la separazione esistente fra uomo e donna. Perciò è necessario essere in due per superarlo, le due sponde, due che si congiungono. Il Ponte sull’Abisso è la ritrovata unità. È l’Amore. È l’Eterno ritorno dello stesso.
2.
Va da vita a vita/ ora la morte, / come il sonno collega / veglia a veglia.

PRESENTE, PASSATO, FUTURO
1.
Non c’è il Futuro che arriva tutto nuovo, ma il Passato che ritorna. E per poterlo riconoscere in modo chiaro e distinto, ho percorsa tutta la rotonda via, ho valicato l’Abisso, ho svelato il segreto della Porta. Il risultato è l’Eterno ritorno dello stesso. Si evince però che non c’è neppure Presente se ritorno: sono solo apparenze. Tutto è uno.
2.
Quando si arriva alla Porta che si trova dove inizio e fine sono lo stesso e si passa, il tempo muta in eternità. I tre nomi del tempo – Passato, Presente e Futuro – diventano uno solo, perché il Pausato non passa e scompare come appare alla comune esperienza ma si gira e ritorna, e il Futuro è quel Passato che si ripresenta. Ma perché questo appaia, vale a dire per percepirlo e intenderlo, è necessario che sia nota tutta la via, che diventi una sola cosa nell’occhio e nella mente.

Cultura, non Natura

26 settembre 2018

René Magritte, La culture des idées (1927)

Alla fine del percorso di una civiltà, quella che chiamiamo Occidente, la filosofia è diventata Eterno ritorno dello stesso. È iniziata la continuazione del singolo che prevarrà su quella della specie. La continuazione del singolo è un risultato della Cultura, non della Natura.

Raccoglimento (decima parte)

27 Maggio 2018

Gustav Klimt, Filosofia (1899-1907)

Sarebbe un’importante aggiunta alla Via d’uscita dal nichilismo una storia della filosofia basata sui seguenti fondamenti.

Primo fondamento: la LUCE.
Quella che è sorta, come il sole all’alba, nel VI secolo a.C., e ha illuminato l’Oriente.
La videro in Cina, in India e poi in Grecia i sapienti che hanno preceduto i filosofi.
In Cina l’ha colta Lao-tzu, in India Buddha, in Grecia Parmenide ed Eraclito, tutti nello stesso secolo, il VI a.C. (vedi Il ritorno a casa, capitoli decimo, undicesimo, dodicesimo).
È stata l’Alba di una nuova visione del mondo.

Secondo fondamento: la PAROLA.
Poi la Luce è diventata Parola nel Tao Tê Ching di Lao-tzu, nella dottrina di Buddha, nel poemetto di Parmenide intitolato Sulla natura e nei pensieri di Eraclito. Delle ultime due opere sono giunti solo frammenti.

Quattro parole importanti: ESSERE, DIVENIRE, SAPIENZA, FILOSOFIA.
L’incanto dell’Alba, della luce che sorge dalle tenebre e le scioglie, è stato chiamato Essere, ciò “che è e che non è possibile che non sia” (Parmenide, Sulla natura, frammento 2).
Il movimento della Luce dopo l’incanto è il DIVENIRE. Da Oriente verso Occidente si è svolto il moto, come fa il sole dopo il suo sorgere. D’altronde la Luce è una sola e cambiano soltanto i modi di vederla.
SAPIENZA è la visione dal luogo dove i sapienti suddetti si son trovati a vivere: dal confine della Luce, che è anche quello della Tenebra, ed è una posizione privilegiata. Perché da essa hanno colto l’una e l’altra assieme e questa è la Sapienza: la coincidenza degli opposti.
Dalla PAROLA della Sapienza a quella della Filosofia si passò quando l’incanto dell’Alba diventò Mattino e poi Giorno e incominciò l’apparente cammino nella Luce. Questo movimento fu causa di un profondo trauma nel pensiero dei filosofi e ancor oggi per i più è cosa da intendere. Si passava dall’Essere al Divenire: dal solitario, immobile ed immutabile Essere, al molteplice, mutevole e vario Divenire. È stato Platone a introdurlo. Si è parlato, già allora, di “parricidio” di Parmenide e Platone è stato accusato dell’orrendo delitto. Ma ora che la Via filosofica dell’eterno ritorno dello stesso è stata illuminata e segnalata, sappiamo che è così: che ci sono l’Essere e le Apparenze, l’immutabile e il mutevole, il tutto assieme e ciò che è separato e distinto.
FILOSOFIA è perciò il cammino che ci ha portati dove ora ci troviamo: alla fine di esso, alla coincidenza degli opposti, al passaggio dalle Apparenze all’Essere o dal Tempo all’Eternità.

Raccoglimento (nona parte)

6 aprile 2018

Giorgio De Chirico, La felicità del ritorno (1915)

 

Anche se fino ad oggi non si è mai sentito parlare di essa, o non con questo nome e in questo modo, la Via dell’eterno ritorno dello stesso è percorsa da tutti quelli che arrivano in questo mondo. La maggior parte senza sapere da dove provengono e dove vanno, cioè senza conoscerla; da molti nella conoscenza parziale e limitata, per cui un poco sanno da dove arrivano e dove sono diretti; da altri ancora per i ricordi che s’accendono andando per essa, per cui si dice: qui sono già stato.
Quest’ultimo modo è la metempsicosi, che è ancora il nome più noto e diffuso.
Infine l’attuale denominazione: Via filosofica dell’eterno ritorno dello stesso, la più chiara e distinta, perché, appunto, dopo il suo progetto dettato da Amore e dalla Sapienza, è seguita l’opera della filosofia, cosicché alla conclusione eterno ritorno e via filosofica sono “lo stesso”. Infatti, viste in uno sguardo una accanto all’altra, esse hanno la stessa forma, la stessa durata e tanta parte del contenuto. La Via dell’eterno ritorno dello stesso gira in tondo come la filosofia, che è stata ed è filosofia del Giorno e della Notte, e nel Giorno il Mezzogiorno, dopo il Tramonto la Mezzanotte, è lunga anch’essa più di venticinque secoli, e finisce dove la strada finisce.
Infatti della filosofia oggi valgono le seguenti parole: “Si può dire di essa che è finita, che si sono adempiute le scritture” (si veda la voce Filosofia del Vocabolario).
Poi la filosofia ha anche altri nomi e distinzioni. È filosofia fisica, cioè scienza della natura, è gnoseologia, metafisica, etica, politica, estetica… Ma chiaramente e distintamente è la Via filosofica dell’eterno ritorno dello stesso.

Dunque le due strade sono gemelle o ce n’è una sola. Che sia una sola anziché due, lo si deduce anche dal finale, lo stesso per entrambe. Nell’Eutidemo, Platone dice della filosofia: “È l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo”. E quale maggior vantaggio del superamento del baratro della morte, quello che chiamiamo Abisso! E il superamento di quest’Abisso non è forse il risultato di chi percorre tutta la via dell’eterno ritorno dello stesso? Per questo è stata costruita la via. E per arrivare fino alla fine di essa, perciò fino alla coincidenza degli opposti e alla Porta che apre sull’Essere, è stato costruito il Ponte sull’Abisso (vedi Lo stratagemma).
Questo è il maggior vantaggio che abbiamo voluto, cercato e trovato a questo punto. E c’è tutta la filosofia che lo attesta. E c’è tutta la Sapienza che lo conferma (vedi Dalla sapienza alla sapienza seguendo la via filosofica).

È sempre stata, perciò, questa via. La percorrono tutti, ma il suo nome lo conosce davvero soltanto chi sa che è un ritorno.

Raccoglimento (ottava parte)

4 marzo 2018

Giovan Francesco Capoferri e Lorenzo Lotto, Amor sulla bilancia (1524)

…ecco che cosa mi dà pace:
essere e non essere,
essere già stato
e aver dimenticato,
essere un tutto
e vedermi breve,
recitare la mia parte
e amare Iddio.

 

Il precedente post termina con le parole: “In quel punto appare anche cos’è l’uomo: Apparenza ed Essere, Tempo ed Eternità. Mortale e Immortale, aggiungo ora.
Quel punto è la fine della Via dell’eterno ritorno dello stesso, dove chi arriva s’avvede che da lì è anche partito; dove, dunque, la fine coincide con l’inizio.
Ma quando si mostra uno degli aspetti anziché l’altro, vale a dire quando c’è Apparenza, Tempo, Mortale, anziché Essere, Eternità, Immortale?
Il primo aspetto, quando NON SI SA. Non si sa che c’è la Via dell’eterno ritorno dello stesso che collega le esistenze; che recentemente essa è stata illuminata e segnalata lungo tutto il suo corso; che l’Abisso è stato superato, che il segreto della Porta è stato svelato; che è chiamata anche Via filosofica e Strada di frontiera, perché illuminazione e segnalazioni sono la filosofia.
Perciò si dice in generale: non si sa da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo. Un’altra formula che esprime questo stato dice che si è gettati e tolti.
Il secondo aspetto, invece, è SAPERE.
È “conosci te stesso”, il motto inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi che ritorna, perché da sempre SAPPIAMO e NON SAPPIAMO.

Raccoglimento (settima parte)

4 febbraio 2018

Kazuaki Tanahashi, Where are we all going? (I e II, 1997)

“Conosci te stesso” è il titolo più importante che è stato dato alla ricerca iniziata più di venticinque secoli fa nell’antica Grecia. Il motto è inciso sull’architrave del tempio di Apollo a Delfi ed è attribuito a Talete, il primo sapiente. Ciò che è iniziato allora, nello spazio luminoso che s’era aperto, si è poi svolto fino ai nostri giorni, finché recentemente non ha trovato la sua fine, perché quel cammino si è dimostrato circolare: la fine ha coinciso con l’inizio.
Ma che cosa l’uomo non sapeva di sé che l’ha indotto a cercarsi?
C’è un altro motto antico, un po’ meno laconico del primo, che lo dice; un classico anch’esso, frutto dei miti, dei misteri, delle religioni, della poesia, della sapienza. Esso suona così: “Non sappiamo da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo”.
Ecco che cosa voleva sapere. E lo conoscerà oggi, in modo chiaro e distinto, lungo la Via dell’eterno ritorno dello stesso, soprattutto alla fine, dove avviene la coincidenza degli opposti e i due sono “lo stesso”.
In quel punto appare anche cos’è l’uomo: Apparenza ed Essere, Tempo ed Eternità.

Raccoglimento (sesta parte)

24 dicembre 2017

Umberto Boccioni, Stati d’animo: gli addii (1911). A sinistra la prima versione, conservata al Museo del Novecento (MI); a dx la seconda, conservata al MoMA di New York.

Il mondo è come le immagini nello specchio,
è tutto ciò che è dentro e non si vede,
se non c’è qualcuno che provvede
a lasciar lo specchio e a guardar da fuori.
Così noi vedremo anche la Mente
se lasceremo lo specchio della vita,
se non ci cureremo più della partita
che si gioca quaggiù fra canti e pianti.

 

Questa indicazione l’ho vista più di cinquant’anni fa, all’inizio del cammino che poi alla fine è diventato Via dell’eterno ritorno dello stesso, o anche Via filosofica o Giro intero.
Ebbene, la stessa indicazione si è ripresentata dopo tanti anni e forse è la stessa, perché la prima era presso l’inizio della via e la seconda vicina alla fine, e “inizio e fine in un giro intero sono lo stesso”.
Una differenza tuttavia sembrava ora presentarsi: era la maggiore attrazione e consistenza che aveva acquistato la parola “mente”. “Vedremo anche la mente / se lasceremo lo specchio della vita”, dice il segnale antico, e ora su quel nome s’appuntavano lo sguardo e il pensiero. La prima volta invece non mi sono neppure posto la domanda: chi è, cos’è la mente?
Me lo chiedo ora, perciò: chi è, cos’è? E subito appare la risposta: è la filosofia. Non il suo inizio con Socrate, né la sua fine introdotta ai giorni nostri da Nietzsche; non la filosofia fisica (le attuali scienze della natura) o la metafisica; non il Giorno, che dura fino a Hegel, né il Tramonto di Schopenhauer; non l’Io del pensiero moderno, che comincia con Cartesio, né il di Jung; non l’idealismol’empirismo; non il realismo ingenuo, l’illuminismo, o il puro spirito; non l’essere anziché il divenire; o il tempo anziché l’eternità. Non tutto ciò, dunque, distinto e separato, ma tutto insieme e tutto in una volta, ciò che qui chiamiamo Eterno ritorno dello stesso.

Ecco, dunque, cos’è la Via filosofica: l’apparire della mente con le vesti della filosofia, e se la vedi così in un solo giro sai da dove vieni, chi sei e dove vai.

Raccoglimento (quinta parte)

5 dicembre 2017

Honoré Daumier, The Loge (1856-57)

Inaccettabile la condizione umana,
che finisce sempre in modo tragico,
se non si provvede a migliorarla.
Ed io lo sto facendo
con l’Eterno ritorno dello stesso.
Si dà scacco matto alla morte
in questo modo.

 

Si viene alla luce a recitare la commedia della vita.
Il teatro è il mondo, che ha la notte stellata per soffitto e il sole come lampada di interni. La Terra è il palcoscenico, il proscenio, la ribalta, dove si esibiscono gli attori e le comparse, ed è la platea, il loggione, i palchi dove stanno gli spettatori.
Su questo teatro ho recitato anch’io, ma ora che la mia parte sta finendo, mi accingo a passare dal palcoscenico alla platea, quindi da attore o comparsa mi volgo a diventare spettatore. In altre parole lascio il mondo delle Apparenze, quello dove si recita, e vado di là, oltre il sipario. Da quella parte si vede e non si è visti, si sente ma non si risponde. Il posto degli spettatori, insomma.
Ma dov’è questo oltre il sipario e cos’è? L’abbiamo già detto: è sulla Terra ed è la platea, il loggione, i palchi. Ma quando questa parte del teatro andiamo a cercarla, di norma non la troviamo, ci sono solo cartelli indicatori dove domina una parola: cimitero. E quando si arriva al cimitero si trovano solo tombe, lapidi e qualche raro visitatore. Perché lì ci sono solo i costumi dismessi e gli ornamenti abbandonati degli attori e delle comparse che sono usciti di scena, altro non si vede. E il resto, dunque, cioè la platea, il loggione, i palchi? E dove sono gli spettatori, senza i quali non avvengono le rappresentazioni? Non sono essi il vero motivo di ogni cosa? Non sono come il popolo nella Repubblica, come la folla a una festa, vale a dire ciò che è stabile e comune rispetto alle apparenze? E stabile e comune è l’Essere o Logos rispetto alle rappresentazioni che sono il molteplice e il mutamento, per cui gli si addicono anche questi nomi. “Bisogna seguire ciò che è comune” ha detto Eraclito. “Ma pur essendo questo Logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria particolare saggezza” (frammento 2). E Anassimandro ha chiamato quel principio Ápeiron, che è come il mare, e “tutte le onde che può dare il mare / stanno nel mare, ma sono illimitate”. Che è come il sonno e non c’è limite all’apparire e allo sparire dei sogni.
Nomi dell’Essere, perciò, quel che è comune e Ápeiron.
Allora non è nella Casa dell’Essere che si doveva entrare dopo il cimitero, e perché non si entra?
Perché prima dell’ingresso c’è, appunto, il cimitero, che corrisponde a quel che è chiamato Abisso nel campo del pensiero, e c’è una Porta da aprire per passare. Ma ora tutto ciò è possibile: l’Abisso è stato superato, la Porta è stata aperta e il cammino può continuare in modo chiaro e distinto.
Dove andrò io, dunque, quando fra non molto avrò terminato la mia parte sul palcoscenico della vita? Andrò in cimitero, dove lascerò le mie spoglie. Ecco dove andrò. E lì davvero tutto finisce per gli occhi che vedevano, per le mani che toccavano, per le orecchie che sentivano, per i nasi e le bocche che coglievano odori e sapori.
A questo punto, il mio cammino continuerà nell’invisibile e nel silenzio fino alla platea, o palco, o loggione, a prendere posto.
E starò lì ad aspettare che nell’eterno ritorno dello stesso si ripresentino quelle parti della commedia della vita che ho recitato con cuore e mente, che ho visto e voglio rivedere.
Per rivederle ho camminato sessant’anni e “sette verghe di ferro ho logorate per appoggiarmi nel fatale andare”.

Andrò a incontrare Isabella per il pendio in fiore che alla chiesetta conduce, come l’astronomo aspetta la sua stella in cielo nel tempo e nel luogo stabiliti.

Raccoglimento (quarta parte)

22 ottobre 2017

René Magritte, Colpo al cuore (1952)

Va’ dove ti porta il cuore può essere il titolo del cammino che ho seguito per molti anni, ma a un certo punto mi è parso chiaro che con le sole indicazioni del cuore non sarei arrivato alla fine della via. O non alla fine della via chiara e distinta dove avrei trovato la chiesetta che era sperduta. Non bastava il sentimento, o esso non era una stabile illuminazione e segnalazione, era come un lampo nella notte. Ci voleva anche la ragione: ecco il pensiero che s’era fatto avanti, dapprima timidamente, poi in modo sempre più palese e deciso. E la ragione a questo punto aveva un nome: filosofia. Duemilacinquecento anni di filosofia entravano così a far parte del patrimonio occorrente perché la Via dell’eterno ritorno dello stesso si mostrasse da inizio a fine con i due estremi coincidenti, perché essa è rotonda. In quel punto appare la chiesetta.
Ma perché la filosofia?
Perché, nel suo aspetto di “conoscenza a vantaggio dell’uomo” è essa stessa Via dell’eterno ritorno dello stesso. Il vantaggio è la vita che ritorna dopo le morti, come oggi la veglia dopo i sonni. Perciò l’una e l’altra via sono titoli della medesima cosa e si va più diritti allo scopo se non si tiene conto dei paesaggi circostanti e se non si perseguono le tante deviazioni, come quelle, per esempio, che si addentrano su territori particolari o limitrofi quali la politica, la morale, la fisica, o sulle domande se il mondo sia eterno o sia stato creato, se sia infinito o limitato.
Se via filosofica e via dell’eterno ritorno dello stesso sono la medesima, allora lungo di essa e fino a dove è arrivata in modo chiaro e distinto troviamo tutti i filosofi elencati nelle storie esistenti, o almeno i maggiori, a partire da Socrate che ha iniziato la segnalazione e illuminazione del grande anello. Poi tutti gli altri, dunque ‒ e si arriva fino a Nietzsche, che ha riportato alla ribalta in tutta la sua drammaticità l’eterno ritorno dello stesso, e a Heidegger e a Jünger che insieme sono arrivati fin sulla sponda dell’Abisso, la linea zero l’hanno chiamata, e hanno progettato il suo attraversamento. Fra Socrate, che ha iniziato l’opera nell’Aurora ‒ Aurora della filosofia e della civiltà greca diventata poi Occidente ‒, e Heidegger c’è quasi tutta la via filosofica segnata da pietre miliari con i nomi degli innumerevoli progettisti e costruttori. Ne citiamo alcuni fra i più grandi.
Dopo Socrate, nel Giorno già iniziato, ci sono Platone e Aristotele, e dopo il lungo sonno del Medioevo si riprende in forze. La ripresa si chiama filosofia moderna e nella chiarità del Giorno non c’è soltanto la via ma appare anche il viaggiatore. Si chiama Io penso e, continuando quell’andare, diventerà Io trascendentale con Kant, poi Io assoluto con Fichte , Schelling, Hegel. Infine con l’ingresso nella Notte il nome Io muta in .
Comincia ad apparire l’uomo nuovo, il viandante dell’intero cammino circolare, colui che arriva nello stesso punto da cui è partito, ma non per caso o trasportato.